Da Fivi a Federvini: barricate del vino italiano contro il governo irlandese

La Public Health Alcohol Labelling Regulations prevede avvertenze sanitarie sulle etichette degli alcolici

Fivi, Coldiretti e Confagricoltura barricate del vino italiano contro il governo irlandese
Nessuna differenza tra abuso e consumo di alcolici. Vino italiano in rivolta contro la Public Health Alcohol Labelling Regulations del governo irlandese. Da Fivi a Coldiretti e Confagricoltura, passando per Federvini, il coro di sdegno è unanime nei confronti dell’obbligo di avvertenze sanitarie sulle etichette di vino e alcolici commercializzate in Irlanda. Nonostante i pareri contrari presentati da diversi Paesi, tra cui l’Italia, la Commissione europea non ha presentato alcuna obiezione. Il termine del periodo di moratoria scadeva il 22 dicembre 2022. Persa dunque l’occasione di sospendere il provvedimento, prorogandone l’eventuale entrata in vigore.

«I Vignaioli italiani ed europei – tuona Lorenzo Cesconi, presidente di Fivi, Federazine italiana vignaioli indipendenti – sono alleati delle istituzioni nelle campagne per l’educazione e il consumo responsabile, non nemici. Lo siamo per definizione, proprio perché il nostro vino non è una semplice bevanda alcolica, ma un prodotto culturale lontano anni luce dalle sostanze di cui si abusa nella ricerca dell’ubriachezza».

Ma le regole di etichettatura proposte dall’Irlanda e il sostanziale via libera europeo rappresentano un madornale errore. Non solo sono un evidente ostacolo alla libera circolazione delle merci e comportano ulteriori costi, che si sommano agli altri già onerosi costi amministrativi che si devono affrontare per le vendite all’estero»

Sempre secondo Cesconi, «il dato più preoccupante è che le avvertenze proposte dal governo irlandese non tengono minimamente in considerazione la differenza tra abuso e consumo, elemento presente anche nel Piano di Lotta europea contro il Cancro. È necessario che i legislatori europei e nazionali capiscano che la strada del proibizionismo è un vicolo cieco e che è necessario distinguere il vino dalle bevande alcoliche in generale e dagli spirits».

COLDIRETTI E CONFAGRICOLTURA

Coldiretti ricorda dal canto suo che «l’autorizzazione della Commissione fa seguito a ripetuti blitz a livello comunitario, come il tentativo di escludere il vino, insieme a carne e salumi, dai finanziamenti europei della promozione nel 2023», ormai sventato anche grazie alle barricate dell’Italia. Oggi la minaccia si chiama Public Health Alcohol Labelling Regulations.

«È del tutto improprio assimilare l’eccessivo consumo di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino – afferma il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – che in Italia è diventato l’emblema di uno stile di vita lento, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre all’assunzione sregolata di alcol».

Così il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti: «Siamo particolarmente preoccupati per la deriva proibizionistica che il settore vitivinicolo europeo sta affrontando. La Commissione non ha ascoltato le riserve che l’Italia, con altri numerosi Stati membri, ha manifestato per opporsi alle misure introdotte dalla normativa irlandese creando un grave precedente e un potenziale ostacolo al commercio interno».

LA POSIZIONE DI FEDERVINI

Da Federvini un appello al Governo contro il Public Health Alcohol Labelling Regulations del governo Irlandese: «Chiediamo che il Governo Italiano si attivi quanto prima per studiare ogni azione possibile, nessuna esclusa – commenta la presidente Micaela Pallini – per osteggiare una norma che contrasta con il buon senso e la realtà. Forse è giunta l’ora che il tema venga trattato a livello politico in ambito Ue, non da soli ma con i partner europei che hanno già manifestato gravi perplessità su questo tipo di normativa. È necessario una presa di posizione di fronte al mutismo della Commissione Europea».

Duro il discorso di Pallini: «Questo è un sistema unilaterale che spacca il mercato unico europeo, una modalità discriminatoria perché non distingue tra abuso e consumo e criminalizza prodotti della nostra civiltà mediterranea senza apportare misurabili ed effettivi benefici nella lotta contro il consumo irresponsabile».

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